AL TEATRO ALIGHIERI CON UN TRAM DEL PASSATO SI FA TEATRO DEL FUTURO.
?Un tram che si chiama Desiderio?, intenso dramma di Tennessee Williams scritto nel 1947, divent? negli anni 50 un film di successo interpretato da Marlon Brando, Vivien Leight e altri bravi caratteristi con la regia di Elia Kazan che ne edulcor? per lo schermo le tematiche sessuali a tinte forti lasciando soltanto intuire la scena di Blanche stuprata da Stanley che la conduce alla pazzia. Il regista Antonio Latella ha scelto di non nascondere nulla e lo stupro avviene sotto il fuoco dei riflettori contemplando una sorta di ribaltamento dei ruoli non so quanto legittimo nei confronti dell?autore: si potrebbe definire una violenza condivisa da entrambi. Non avendo letto il testo originale, meglio non insistere su questo punto. Questa rappresentazione non ? slegata dal film che evoca con le immagini di Brando riprodotta sulla canotta degli attori e, come il film fu premiato da quattro Oscar, ha fatto incetta di premi, aggiudicandosi i prestigiosi premio Ubu e il premio Hystrio nonch? l?Ubu e le Maschere del Teatro (ora Premio Mariangela Melato) per l?attrice protagonista Laura Marinoni e per l?attrice non protagonista Elisabetta Valgoi. Chi, come me, ha messo il film fra quelli che non si dimenticano, osserva la distanza fra la visuale adottata da Kazan, che si limit? a trasporre in linguaggio cinematografico il dramma teatrale mantenendo inalterate le unit? di tempo, di azione e di spazio e quella sfalsata nel tempo di Latella che ripercorre la vicenda a ritroso senza peraltro modificare caratteri e situazioni. Questo ? certamente pi? frastornante per chi conosce gi? la dinamica degli eventi rispetto a chi, ignorandola, affronta la vicenda ex novo. In campo ci sono fin dall?apertura del sipario due personaggi non collegabili al dramma la cui identit? si sveler? solo nel finale. Tuttavia ? evidente fin dalle prime battute che ci? che conta non ? cosa avviene, ma come avviene ovvero attraverso quali accorgimenti interpretativi, narrativi e scenografici si compie l?azione scenica. Le luci restano sempre accese in sala, quasi ad annullare il confine fra finzione e realt?, e sulla scena a tratti i riflettori sembrano volere incendiare i personaggi in una esasperata ricerca di verit?. Gli attori si protendono sul palcoscenico come se interagissero con il pubblico pi? che con gli altri personaggi in scena, a volte sembrano improvvisare, sulla scena si cambiano perfino d?abito in una sorta di teatro-verit?. Il linguaggio camaleontico, colto e lezioso, volgare e arrogante, carezzevole o tagliente, a volte rivela ma pi? spesso mistifica ed ? sempre espressione dei caratteri caratterizzati da una sessualit? esasperata fino alla patologia, anche quando ? negata come accade a Mitch che vive ancora con l?anziana madre. Scrive Latella nelle note di regia: ?Non c?? un solo personaggio nei testi di Tennessee Williams che non sia ferito, rotto, spezzato. A tutti manca un qualcosa, ? come se nella loro incompiutezza ci fosse il senso del vivere?. Forse ? questa la molla che li spinge in modo compulsivo a rifugiarsi nelle braccia altrui per un piacere fugace che non placa il dolore di vivere. Cos?, nonostante una nuova vita in arrivo, ? evidente che la passione fra Stella e Stanley brucer? in fretta come un fuoco di paglia, che il sesso consumato compulsivamente ha distrutto l?integrit? morale e sociale di Blanche e che Micht non riuscir? a trasformare l?interesse per Blanche in un reale coinvolgimento affettivo, negando a entrambi un?opportunit? di rinascita. Nessun rapporto resiste alla luce della verit?, come nell?antico mito greco, e ce n?? tantissima di luce in scena. All?epoca dell?azione, il 1940, nel contesto di un quartiere popolare metropolitano, ognuno aveva i segni del tempo stampati sul viso. Oggi forse una Blanche dal viso rifatto sfiderebbe spavaldamente sia la luce del giorno che il rapporto con un uomo pi? giovane. Il tormentato T. Williams, omosessuale con tendenza all?alcolismo, una sorella affetta da problemi psichici lobotomizzata e da ci? resa invalida all?et? di 27 anni, rapporti sessuali a go-go, ben conosceva il dolore di Blanche che il regista Visconti defin? ?Il suo alter ego? e ha scritto un potente dramma individuale incastonato nel contesto di un quartiere popoloso di immigrati come Stanley denominato ?I Campi Elisi? a cui si arriva con un tram chiamato Desiderio, denominazioni sublimi per realt? degradate e degradanti. La lettura di Latella coinvolge il pubblico, lo intriga e lo irrita in un teatro che cattura dalla prima all?ultima battuta, quando Blanche si rifugia fra le braccia del dottore-narratore come un bambino in quelle della madre nell?unico abbraccio davvero consolatorio che riserva la vita. Sabato 19 in Sala Corelli gli interpreti Laura Marinoni, Elisabetta Valgoi, Giuseppe Janino, Annibale Pavone e Rosario Tedesco, si sono presentati al pubblico raccontando un?esperienza forte che ogni sera li sottopone a enormi stress psicofisici in un teatro della verit? che pu? suscitare reazioni diverse ma non certo lasciare indifferenti, un teatro che non da risposte ma crea interrogativi.
Attilia Tartagni
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AL TEATRO ALIGHIERI CON UN TRAM DEL PASSATO SI FA TEATRO DEL FUTURO.
?Un tram che si chiama Desiderio?, intenso dramma di Tennessee Williams scritto nel 1947, divent? negli anni 50 un film di successo interpretato da Marlon Brando, Vivien Leight e altri bravi caratteristi con la regia di Elia Kazan che ne edulcor? per lo schermo le tematiche sessuali a tinte forti lasciando soltanto intuire la scena di Blanche stuprata da Stanley che la conduce alla pazzia. Il regista Antonio Latella ha scelto di non nascondere nulla e lo stupro avviene sotto il fuoco dei riflettori contemplando una sorta di ribaltamento dei ruoli non so quanto legittimo nei confronti dell?autore: si potrebbe definire una violenza condivisa da entrambi. Non avendo letto il testo originale, meglio non insistere su questo punto. Questa rappresentazione non ? slegata dal film che evoca con le immagini di Brando riprodotta sulla canotta degli attori e, come il film fu premiato da quattro Oscar, ha fatto incetta di premi, aggiudicandosi i prestigiosi premio Ubu e il premio Hystrio nonch? l?Ubu e le Maschere del Teatro (ora Premio Mariangela Melato) per l?attrice protagonista Laura Marinoni e per l?attrice non protagonista Elisabetta Valgoi. Chi, come me, ha messo il film fra quelli che non si dimenticano, osserva la distanza fra la visuale adottata da Kazan, che si limit? a trasporre in linguaggio cinematografico il dramma teatrale mantenendo inalterate le unit? di tempo, di azione e di spazio e quella sfalsata nel tempo di Latella che ripercorre la vicenda a ritroso senza peraltro modificare caratteri e situazioni. Questo ? certamente pi? frastornante per chi conosce gi? la dinamica degli eventi rispetto a chi, ignorandola, affronta la vicenda ex novo. In campo ci sono fin dall?apertura del sipario due personaggi non collegabili al dramma la cui identit? si sveler? solo nel finale. Tuttavia ? evidente fin dalle prime battute che ci? che conta non ? cosa avviene, ma come avviene ovvero attraverso quali accorgimenti interpretativi, narrativi e scenografici si compie l?azione scenica. Le luci restano sempre accese in sala, quasi ad annullare il confine fra finzione e realt?, e sulla scena a tratti i riflettori sembrano volere incendiare i personaggi in una esasperata ricerca di verit?. Gli attori si protendono sul palcoscenico come se interagissero con il pubblico pi? che con gli altri personaggi in scena, a volte sembrano improvvisare, sulla scena si cambiano perfino d?abito in una sorta di teatro-verit?. Il linguaggio camaleontico, colto e lezioso, volgare e arrogante, carezzevole o tagliente, a volte rivela ma pi? spesso mistifica ed ? sempre espressione dei caratteri caratterizzati da una sessualit? esasperata fino alla patologia, anche quando ? negata come accade a Mitch che vive ancora con l?anziana madre. Scrive Latella nelle note di regia: ?Non c?? un solo personaggio nei testi di Tennessee Williams che non sia ferito, rotto, spezzato. A tutti manca un qualcosa, ? come se nella loro incompiutezza ci fosse il senso del vivere?. Forse ? questa la molla che li spinge in modo compulsivo a rifugiarsi nelle braccia altrui per un piacere fugace che non placa il dolore di vivere. Cos?, nonostante una nuova vita in arrivo, ? evidente che la passione fra Stella e Stanley brucer? in fretta come un fuoco di paglia, che il sesso consumato compulsivamente ha distrutto l?integrit? morale e sociale di Blanche e che Micht non riuscir? a trasformare l?interesse per Blanche in un reale coinvolgimento affettivo, negando a entrambi un?opportunit? di rinascita. Nessun rapporto resiste alla luce della verit?, come nell?antico mito greco, e ce n?? tantissima di luce in scena. All?epoca dell?azione, il 1940, nel contesto di un quartiere popolare metropolitano, ognuno aveva i segni del tempo stampati sul viso. Oggi forse una Blanche dal viso rifatto sfiderebbe spavaldamente sia la luce del giorno che il rapporto con un uomo pi? giovane. Il tormentato T. Williams, omosessuale con tendenza all?alcolismo, una sorella affetta da problemi psichici lobotomizzata e da ci? resa invalida all?et? di 27 anni, rapporti sessuali a go-go, ben conosceva il dolore di Blanche che il regista Visconti defin? ?Il suo alter ego? e ha scritto un potente dramma individuale incastonato nel contesto di un quartiere popoloso di immigrati come Stanley denominato ?I Campi Elisi? a cui si arriva con un tram chiamato Desiderio, denominazioni sublimi per realt? degradate e degradanti. La lettura di Latella coinvolge il pubblico, lo intriga e lo irrita in un teatro che cattura dalla prima all?ultima battuta, quando Blanche si rifugia fra le braccia del dottore-narratore come un bambino in quelle della madre nell?unico abbraccio davvero consolatorio che riserva la vita. Sabato 19 in Sala Corelli gli interpreti Laura Marinoni, Elisabetta Valgoi, Giuseppe Janino, Annibale Pavone e Rosario Tedesco, si sono presentati al pubblico raccontando un?esperienza forte che ogni sera li sottopone a enormi stress psicofisici in un teatro della verit? che pu? suscitare reazioni diverse ma non certo lasciare indifferenti, un teatro che non da risposte ma crea interrogativi.
Attilia Tartagni