Marco Pantani, mito del ciclismo e fragile eroe contemporaneo.
Fu trovato morto a soli 34 anni in un residence di Rimini per overdose. Era il 14 febbraio 2004. Dalle stelle alla polvere. E? impressionante la parabola discendente di un ?eroe del ciclismo venuto dal nulla?, incorporato alla bicicletta fin dall?infanzia con cui, pare, andasse pure a dormire, forgiatosi nella pianura padane e nei lievi declivi appenninici eppure imbattibile nelle montagne. Una spinta enorme verso la scalata del successo, ma anche segnali di una forza avversa che si manifestano di frequente con tragici presagi da tragedia greca. La drammaturgia teatrale mescola la realt? dei documenti, delle foto e dei video con l?interpretazione dei personaggi che ne affollarono l?esistenza, in primo piano il padre Paolo coinvolto nei successi sportivi del figlio e la moglie Tonina visceralmente madre fino all?ultimo giorno di vita di Marco. Le cadute in bicicletta e gli incidenti provocati da auto e da gatti che attraversano il percorso equivalsero a soste forzate da cui Marco si riprese sempre grazie alla volont? granitica di raggiungere gli obiettivi che si era dato, ma non quando a Madonna di Campiglio, dopo i trionfi al Giro d?Italia e al Tour de France, incontr? l?ostacolo vero e fatale che lo fece soccombere moralmente, nonostante i tribunali gli abbiano in seguito dato ragione e perfino un esame postumo sul corpo abbia escluso tracce di sostanze dopanti. Pantani, dunque, era pulito anche se si volle, con grande clamore mediatico, scoprirlo ?sporco? e l?esame a cui fu sottoposto non era idoneo a dimostrare nulla, tanto che poi fu dichiarato inutile allo scopo per cui era stato usato. Stando cos? le cose, la lettura di questa parabola umana che conobbe il tempo del trionfo, tutta Cesenatico in festa con piadina per tutti, e quelli della disperazione pi? nera e della perdita di senso, diventa ancora pi? agghiacciante perch? rivela, al di l? ogni possibile mistificazione, una verit?: per essere davvero un campione nella vita devi sapere reggere i colpi della sorte, devi possedere un?anima solida da combattente dentro a un corpo-macchina perfetta. Dopo Madonna di Campiglio, racconta la signora Tonina con accenti strazianti, Marco si chiuse in casa per venti giorni. Era annientato, inerte. Il 21?giorno prese la bicicletta e si fiond? fuori da Cesenatico. Tonina prese a sperare, ?Forse ne viene fuori ancora una volta?, si disse, ma per strada incontr? un tale che gli grid? ?In do vet, dup?? ? (dove vai, drogato?) e allora le forze gli servirono appena per tornare a casa e fare a pezzi la bicicletta. Forse fu in quel momento che inizi? a morire sul serio, perch? Pantani e la bicicletta erano sempre stati una cosa sola, come il cavallo per il cavaliere, e distruggendo la fedele compagna Marco fece a pezzi se stesso. Poi, abbandonati gli amici storici, sordo ai richiami della sorella e dei genitori, scivol? sempre pi? in basso, vittima di una ?sostanza? che credeva di dominare, capace di annullare i pensieri e il dolore dell?anima, una sostanza che azzera la progettualit? e porta rapidamente all?autodistruzione, chiuso in una stanza lui che aveva cavalcato su due ruote spazi sterminati dentro la natura, abbandonato a se stesso. Strana pi?ce teatrale, combattuta fra il reportage e il teatro. Belli i filmati, alcuni inediti di carattere privato, specie quello dove si fa truccare dalla fidanzata studentessa dell?Accademia di Belle Arti che gli ? stata accanto nel trionfo (ma dov?era nei giorni neri?) e le immagini finali, , quanto si vivono le ultime ore di Marco attraverso le parole della madre, tragica eroina che assiste impotente alla distruzione del figlio. Sullo schermo a grandi dimensioni Pantani monta una grossa motocicletta, sul molo, circondato dal mare amico, pronto a schizzare nel vento sparendo nel nulla. Una pi?ce che risponde solo in parte ai molti interrogativi sollevati da questa vicenda umana sui rapporti con l?ambiente sportivo, con i giornalisti, con gli sponsor,con le nuove opportuniste amicizie procurategli dal successo e pronte a sparire quando esso svanisce, mentre sono puntuali e significanti i rimandi (l?uso del dialetto, le cante) continui alle radici romagnole e all?ambiente di provincia protettivo ma limitato. Aveva la tempra, Pantani, per spiccare il volo da Cesenatico al grande business dello sport, sapeva giostrarsi nel crogiuolo degli interessi o fu troppo sprovveduto e incauto? A noi romagnoli piace ricordarlo come colui che ci ha regalato un sogno condiviso e resta grande nella memoria collettiva, anche grazie a questo lavoro ideato e diretto da Marco Martinelli con Ermanna Montanari e Luigi Dadina a cesellare i genitori, affiancati da Alessandro Argnani, Francesco Catacchio, Fagio, Roberto Magnani, Michela Marangoni, Francesco Mormino, Laura Redaelli. Struggente la fisarmonica di Simone Zanchini e i canti della corale Martuzzi-Pratella diretto da Matteo Unich. Una coproduzione Teatro delle Albe-Ravenna Teatro, le man?ge.mons ? Sc?ne Transfrontali?re de cr?ation e de diffusion asbl (Belgio). Un lavoro in prima assoluta al Teatro Rasi di Ravenna dal 16 novembre al 2 dicembre che emoziona spesso e di certo non lascia indifferenti, la materia ? attuale, i personaggi sono ancora vivi (molti vi hanno fattivamente collaborato) e pronti a giudicare: un progetto troppo ambizioso per riuscire perfettamente, ma che ha il merito di tentare una lettura originale di una vicenda contemporanea che ha segnato l?immaginario collettivo.
Attilia Tartagni 2.12.2012
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Marco Pantani, mito del ciclismo e fragile eroe contemporaneo.
Fu trovato morto a soli 34 anni in un residence di Rimini per overdose. Era il 14 febbraio 2004. Dalle stelle alla polvere. E? impressionante la parabola discendente di un ?eroe del ciclismo venuto dal nulla?, incorporato alla bicicletta fin dall?infanzia con cui, pare, andasse pure a dormire, forgiatosi nella pianura padane e nei lievi declivi appenninici eppure imbattibile nelle montagne. Una spinta enorme verso la scalata del successo, ma anche segnali di una forza avversa che si manifestano di frequente con tragici presagi da tragedia greca. La drammaturgia teatrale mescola la realt? dei documenti, delle foto e dei video con l?interpretazione dei personaggi che ne affollarono l?esistenza, in primo piano il padre Paolo coinvolto nei successi sportivi del figlio e la moglie Tonina visceralmente madre fino all?ultimo giorno di vita di Marco. Le cadute in bicicletta e gli incidenti provocati da auto e da gatti che attraversano il percorso equivalsero a soste forzate da cui Marco si riprese sempre grazie alla volont? granitica di raggiungere gli obiettivi che si era dato, ma non quando a Madonna di Campiglio, dopo i trionfi al Giro d?Italia e al Tour de France, incontr? l?ostacolo vero e fatale che lo fece soccombere moralmente, nonostante i tribunali gli abbiano in seguito dato ragione e perfino un esame postumo sul corpo abbia escluso tracce di sostanze dopanti. Pantani, dunque, era pulito anche se si volle, con grande clamore mediatico, scoprirlo ?sporco? e l?esame a cui fu sottoposto non era idoneo a dimostrare nulla, tanto che poi fu dichiarato inutile allo scopo per cui era stato usato. Stando cos? le cose, la lettura di questa parabola umana che conobbe il tempo del trionfo, tutta Cesenatico in festa con piadina per tutti, e quelli della disperazione pi? nera e della perdita di senso, diventa ancora pi? agghiacciante perch? rivela, al di l? ogni possibile mistificazione, una verit?: per essere davvero un campione nella vita devi sapere reggere i colpi della sorte, devi possedere un?anima solida da combattente dentro a un corpo-macchina perfetta. Dopo Madonna di Campiglio, racconta la signora Tonina con accenti strazianti, Marco si chiuse in casa per venti giorni. Era annientato, inerte. Il 21?giorno prese la bicicletta e si fiond? fuori da Cesenatico. Tonina prese a sperare, ?Forse ne viene fuori ancora una volta?, si disse, ma per strada incontr? un tale che gli grid? ?In do vet, dup?? ? (dove vai, drogato?) e allora le forze gli servirono appena per tornare a casa e fare a pezzi la bicicletta. Forse fu in quel momento che inizi? a morire sul serio, perch? Pantani e la bicicletta erano sempre stati una cosa sola, come il cavallo per il cavaliere, e distruggendo la fedele compagna Marco fece a pezzi se stesso. Poi, abbandonati gli amici storici, sordo ai richiami della sorella e dei genitori, scivol? sempre pi? in basso, vittima di una ?sostanza? che credeva di dominare, capace di annullare i pensieri e il dolore dell?anima, una sostanza che azzera la progettualit? e porta rapidamente all?autodistruzione, chiuso in una stanza lui che aveva cavalcato su due ruote spazi sterminati dentro la natura, abbandonato a se stesso. Strana pi?ce teatrale, combattuta fra il reportage e il teatro. Belli i filmati, alcuni inediti di carattere privato, specie quello dove si fa truccare dalla fidanzata studentessa dell?Accademia di Belle Arti che gli ? stata accanto nel trionfo (ma dov?era nei giorni neri?) e le immagini finali, , quanto si vivono le ultime ore di Marco attraverso le parole della madre, tragica eroina che assiste impotente alla distruzione del figlio. Sullo schermo a grandi dimensioni Pantani monta una grossa motocicletta, sul molo, circondato dal mare amico, pronto a schizzare nel vento sparendo nel nulla. Una pi?ce che risponde solo in parte ai molti interrogativi sollevati da questa vicenda umana sui rapporti con l?ambiente sportivo, con i giornalisti, con gli sponsor,con le nuove opportuniste amicizie procurategli dal successo e pronte a sparire quando esso svanisce, mentre sono puntuali e significanti i rimandi (l?uso del dialetto, le cante) continui alle radici romagnole e all?ambiente di provincia protettivo ma limitato. Aveva la tempra, Pantani, per spiccare il volo da Cesenatico al grande business dello sport, sapeva giostrarsi nel crogiuolo degli interessi o fu troppo sprovveduto e incauto? A noi romagnoli piace ricordarlo come colui che ci ha regalato un sogno condiviso e resta grande nella memoria collettiva, anche grazie a questo lavoro ideato e diretto da Marco Martinelli con Ermanna Montanari e Luigi Dadina a cesellare i genitori, affiancati da Alessandro Argnani, Francesco Catacchio, Fagio, Roberto Magnani, Michela Marangoni, Francesco Mormino, Laura Redaelli. Struggente la fisarmonica di Simone Zanchini e i canti della corale Martuzzi-Pratella diretto da Matteo Unich. Una coproduzione Teatro delle Albe-Ravenna Teatro, le man?ge.mons ? Sc?ne Transfrontali?re de cr?ation e de diffusion asbl (Belgio). Un lavoro in prima assoluta al Teatro Rasi di Ravenna dal 16 novembre al 2 dicembre che emoziona spesso e di certo non lascia indifferenti, la materia ? attuale, i personaggi sono ancora vivi (molti vi hanno fattivamente collaborato) e pronti a giudicare: un progetto troppo ambizioso per riuscire perfettamente, ma che ha il merito di tentare una lettura originale di una vicenda contemporanea che ha segnato l?immaginario collettivo.
Attilia Tartagni 2.12.2012