Gabriele Lavia

Posted by on April 24, 2025

https://www.raiplay.it/video/2023/12/In-Scena-Gabriele-Lavia-3851470e-14f1-4f10-8131-878d3791a616.html In scena Ottavia Piccolo, Tommaso Le Pera, Massimo Foschi e Andrea Viotti STAGIONE DI PROSA 24/25 Dal 1° al 6 aprile 2025 LUNGO VIAGGIO VERSO LA NOTTE di Eugene O’Neill con Gabriele Lavia, Federica Di Martino e con Jacopo Venturiero, Ian Gualdani, Beatrice Ceccherini regia Gabriele Lavia scene Alessandro Camera costumi Andrea Viotti musiche

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In scena

Ottavia Piccolo, Tommaso Le Pera, Massimo Foschi e Andrea Viotti

STAGIONE DI PROSA 24/25
Dal 1° al 6 aprile 2025

LUNGO VIAGGIO VERSO LA NOTTE

di Eugene O’Neill

con Gabriele Lavia, Federica Di Martino
e con Jacopo Venturiero, Ian Gualdani, Beatrice Ceccherini

regia Gabriele Lavia
scene Alessandro Camera
costumi Andrea Viotti
musiche Andrea Nicolini
luci Giuseppe Filipponio
suono Riccardo Benassi

produzione Effimera Teatro – Fondazione Teatro della Toscana
durata 2 ore e 45 minuti (compreso l’intervallo)

Lo Stignani affida la chiusura di stagione a una delle figure più rappresentative del teatro italiano: Gabriele Lavia dirige e interpreta Lungo viaggio verso la notte di O’Neill, in scena a Imola dal 1° al 6 aprile. Prevendita sabato 29 marzo.
L’ottavo e ultimo spettacolo della stagione 2024/25 del Teatro Stignani di Imola sarà la messa in scena diretta e interpretata dal grande Gabriele Lavia del capolavoro del drammaturgo statunitense Eugene O’Neill Lungo viaggio verso la notte, che gli valse il Premio Pulitzer postumo.
Come di consueto sono previste sei recite: da martedì 1° a venerdì 4 aprile alle ore 21, sabato 5 e domenica 6 aprile alle ore 15.30. Non essendoci la doppia recita sabato 5, gli abbonati al turno “E”
del sabato sera possono assistere allo spettacolo martedì 1° aprile alle ore 21.
La vicenda si svolge si svolge tra le pareti di una casa borghese americana nell’arco di una sola notte. I membri di una famiglia, in particolare il padre e la madre, si accusano, si tormentano e
precipitano se stessi oltre ogni canone di umanità, mentre il figlio minore tubercolotico presagisce la fine e il maggiore, l’unico che vede lucidamente la situazione, sa solo rifugiarsi nella scrittura.
Lungo viaggio verso la notte è l’opera-confessione di O’Neill, il cui padre era stato un attore di successo come il protagonista della sua opera teatrale. La casa-prigione della “famigliaccia” che il drammaturgo statunitense ci racconta è proprio casa sua. E qui sta il cammino tortuoso di una possibile messa-in-scena-viaggio di quest’opera amara, scritta poco prima della morte per fare un viaggio all’indietro nella vita. Un viaggio impietoso dentro l’amarezza di un fallimento senza riscatto. Le vite degli uomini sono fatte di tenerezza e violenza. Amore e disprezzo. Comprensione e rigetto. Di famiglia e della sua rovina.
Gabriele Lavia debutta a teatro come attore nel 1963 e considera suoi maestri Orazio Costa e Giorgio Strehler, da cui è diretto. Come attore di cinema è diretto, tra gli altri, da Francesco Nuti, Dario Argento, Gabriele Muccino, Tonino Cervi, Giuseppe Tornatore, Pupi Avati, Francesco Maselli, Damiano Damiani, Mauro Bolognini. È a sua volta regista teatrale, cinematografico e di opere liriche, autore di innumerevoli adattamenti teatrali, sceneggiature cinematografiche e di due libri.
A interpretare la madre al fianco del padre-Lavia c’è Federica Di Martino, attrice che collabora con registi quali Ronconi, Patroni Griffi, Barbareschi e Quartullo. Lavora al fianco di Gabriele Lavia dal
2013.

Lavia in “Il sogno di un uomo ridicolo”

CESENATICO

Ultimo appuntamento con la prosa al Teatro Comunale per la stagione in corso. Sabato 13 aprile, alle 21

Lavia in “Il sogno di un uomo ridicolo”

Nuovo appuntamento con la prosa al Teatro Comunale. Venerdì 16 febbraio, alle 21, il palco del teatro si aprirà per ospitare uno dei Maestri del Teatro. Gabriele Lavia porterà in scena “Il sogno di un uomo ridicolo” che ha registrato il tutto esaurito nella bomboniera di velluto blu.

Il monologo è il proprio adattamento dell’opera di Fedor Dostoevskij.

Un uomo, deriso da tutti e da sempre estraneo alla società, è deciso a suicidarsi. Siede sulla poltrona a fianco della scrivania, apre il cassetto ed estrae la pistola. Ma, improvvisamente, si addormenta e inizia a sognare la propria vita oltre la morte, in un pianeta del tutto simile alla Terra, abitato da splendidi esseri non ancora corrotti «dalla prima caduta, dal primo peccato». Un’occasione imperdibile per vedere da vicino uno dei pilastri del teatro internazionale.

«Nella mia vita di teatrante – ha detto Lavia – ho “adattato” e “rappresentato” alcuni racconti di Dostoevskij: “Una donna mite”, “Memorie dal sottosuolo”, “L’eterno marito” e “Il sogno di un uomo ridicolo”. “Il sogno”, appunto, mi accompagna da quando avevo diciotto anni e lo lessi per la prima volta ai miei amici più cari. Poi Giancarlo Menotti lo volle a Spoleto. Fu un grande successo e il Teatro Eliseo lo volle nel cartellone della Stagione e fu di nuovo un successo. Poi lo portai a lungo in tournée con una mia compagnia. Poi, a Trieste, qualche anno fa, lo replicai per un mese. Sempre con grande successo.

Poi lo ripresi ancora tante volte, anche in forma di “recital”, soltanto con una sedia. Mi chiesero di filmarlo per la TV e vinse il primo premio come migliore opera di Teatro portata in televisione. E lo ripresi ancora per un’altra lunga tournée. È l’opera che ho rappresentato di più ̀ nella mia vita.

Più dell’“Amleto” di cui ho fatto tre edizioni diverse, in tre diverse stagioni. È certo lo spettacolo più faticoso che abbia mai fatto e per questo avevo giurato di non farlo mai più… data l’età.

Ma al Teatro che porta il nome di Strehler non potevo dire di no.

E così nel 2022 ho tirato fuori la mia vecchia camicia di forza che pensavo di non dovere indossare mai più ̀ per dedicare proprio al Grande Maestro questo “Sogno”. Ma ne sono felice. Ora – conclude – a chi lo chiede lo propongo in forma di “recital”».

https://www.raiplay.it/video/2021/12/Luomo-dal-fiore-in-bocca-film-7e50a710-a939-497c-9103-e7a9692615b1.html

L’uomo con il fiore in bocca

Pirandello

Gabriele Lavia Michele Demaria Barbara Alesse

PROSA

Venerdì 4 e sabato 5 novembre ore 21 – domenica 6 novembre ore 16

Prima riallestimento
Effimera Produzioni e Diana Or.I.S.
GABRIELE LAVIA
Il Berretto a Sonagli
di Luigi Pirandello

e con Federica Di Martino, Francesco Bonomo, Matilde Piana, Maribella Piana, Mario Pietramala, Giovanna Guida, Beatrice Ceccherini

scene Alessandro Camera – musiche Antonio Di Pofi – luci Giuseppe Filipponio

regia Gabriele Lavia

Sipario sulla Stagione 2022/23 del Teatro Diego Fabbri di Forlì! La grande inaugurazione è affidata a un vero e proprio “mostro sacro” del teatro italiano: GABRIELE LAVIA, protagonista e regista de Il berretto a sonagli di Luigi Pirandello, in scena per la “Prima” del riallestimento venerdì 4 e sabato 5 novembre alle ore 21 e domenica 6 novembre alle ore 16. Ad affiancare Lavia, un nutrito gruppo di interpreti composto da Federica Di Martino, Francesco Bonomo, Matilde Piana, Maribella Piana, Mario Pietramala, Giovanna Guida e Beatrice Ceccherini.
Gli Artisti incontreranno il pubblico al Ridotto del Teatro Diego Fabbri sabato 5 novembre alle ore 18.30 in un dibattito condotto da Pietro Caruso. L’ingresso all’Incontro è gratuito.
Il berretto a sonagli è un testo amarissimo, comico e crudele, specchio di una società “malata di menzogna”. Lavia interpreta Ciampa, umile scrivano che ricorre alla follia per mantenere la facciata di rispettabilità del suo infelice matrimonio. Ciampa rappresenta il primo dei grandi personaggi pirandelliani a prendersi un’amara rivincita sulle umiliazioni di un’intera vita.

Note di regia

Per Luigi Pirandello la vita è una “soglia” troppo affollata del “nulla”. Tutta la sua opera ruota attorno a questo “nulla” affollato di “apparenze”, di ombre che si agitano nel dolore e nella pazzia.
Solo “i personaggi” sono “veri” e “vivi”. Il Berretto a Sonagli è una tragedia della mente. Ma porta in faccia la maschera della “farsa”. Pirandello mette sulla scena un “uomo vecchio”, uno di quegli uomini “invisibili”, senza importanza, schiacciato nella “morsa” della vita e, poiché́ è un “niente di uomo”, è trattato come se fosse niente: “Oh che ero niente io?”. Questa “domanda disperata” nasconde la concezione di sé stesso, torturata e orgogliosa, di un uomo dissolto nel “nulla” del mondo, un nulla affollato da fantocci, da pupi. Da fantasmi umani. Che spiano e che parlano.
Parlano parole già̀ “parlate”, consumate. E sul palcoscenico, “come trovati per caso”: un vecchio fondale “come fosse abbandonato” e pochi elementi, “come relitti” di un salottino borghese, e “per bene”, dove viene rappresentato un banale “pezzetto” di vita di una “famiglia perbene” o di una “famigliaccia per bene” che fa i conti con l’assillante angoscia di dover essere “per gli altri”, di fronte agli altri. Come se la propria vita fosse, per statuto, una recita per “gli altri” che sono gli spettatori ingiusti e feroci, della propria vita. Del proprio “teatro”.
Vita di uomini che non sono altro che un segno che indica il nulla, fatto di apparenze, di fantasmi, di tutto quello che l’“io” è per gli altri. È l’“essere-per-gli-altri” a prendere il sopravvento perché l’“essere-con-gli-altri” è comunque il nostro “essere ineludibile”.
Ciampa “scrive”, ha un mondo suo, ma solo di notte, di nascosto, come i delinquenti, quando “gli altri” dormono. Ma di giorno: “Io sono quello che gli altri dicono che io sia”. Io sono la doxa, il “si dice “. È proprio il “si dice” ad “essere” la stessa sostanza identitaria del mio “io”. È il “segno” della perversione del mondo degli altri. Quel “mondo degli altri” che percepisce il mio mondo come, appunto, il mio mondo (il mio essere) “appare” a lui, a quel mondo che “non” sono “io”.
Ma chi sono “io”? Chi è questo “io”? Questo “io” che è uno, nessuno e centomila. Questo “io” è “uno” con me stesso e “un altro io” con ognuno degli altri “io” che vivono nella “società̀ dei pupi”.
Questo “io” è determinato, nel suo essere, dalle centomila interazioni sociali, amorose, erotiche, amicali che quelle “interazioni” contribuiscono a frammentare. È questo “io” fatto a pezzettini che non ha più̀ scampo. L’unica speranza è difendere l’“io” dall’aggressione degli altri. Ma come?
Ciampa usa spranghe alle porte, catenacci, paletti per difendere il suo “io”. Ma non ci riesce.
È costretto a uscire, a “sporcarsi le mani”, direbbe Sartre. Esistere.
Ma esistere vuol dire “mettere in gioco” sé stesso. E allora la “corda civile” e la “corda seria” non servono più̀. È la “corda pazza” che scatta. E scatta per tutti. Non si può.̀ difendere il proprio “io” dagli attacchi del mondo. Non è possibile uscire dal mondo, uscire da noi stessi. Se lo facciamo siamo morti viventi.

(Gabriele Lavia)

PROSA (7 spettacoli/3 turni)
dal 4 al 6 novembre

PRIMA NUOVO ALLESTIMENTO
GABRIELE LAVIA
Il berretto a sonagli
di Luigi Pirandello
regia di Gabriele Lavia

dal 18 al 20 novembre
VINCENZO SALEMME
Napoletano? E famme ‘na pizza!
scritto e diretto da Vincenzo Salemme

dal 2 al 4 dicembre
CLAUDIO CASADIO
L’Oreste. Quando i morti uccidono i vivi
di Francesco Niccolini
regia di Giuseppe Marini

dal 13 al 15 gennaio
GIOVANNI ESPOSITO
VALERIO SANTORO
A che servono questi quattrini
di Armando Curcio
regia di Andrea Renzi

dal 27 al 29 gennaio
ANTONIO CATANIA
GIANLUCA RAMAZZOTTI
PAOLA QUATTRINI
Se devi dire una bugia dilla grossa
di Ray Cooney
regia di Pietro Garinei

dal 3 al 5 marzo
LUNETTA SAVINO
La madre°
di Florian Zeller
regia di Marcello Cotugno

dal 21 al 23 aprile
PAMELA VILLORESI – GEOFFREY CAREY
Seagull Dreams°
scritto e diretto da Irina Brook

INCONTRI CON GLI ARTISTI
Alle ore 18 del secondo giorno di rappresentazione di
ogni spettacolo al Ridotto.
(Ingresso agli Incontri è gratuito)

MODERNO (5 spettacoli)

27 novembre ore 21
ASCANIO CELESTINI
Museo Pasolini
scritto e diretto da Ascanio Celestini

22 gennaio ore 21
MARCO BOCCI
Lo zingaro
regia di Alessandro Maggi

16 febbraio ore 21
GIACOMO PORETTI
Funeral Home
di Giacomo Poretti e Daniela Cristofori

15 marzo ore 21
GIORGIO PASOTTI
Racconti disumani
di Franz Kafka – regia di Alessandro Gassman

17 aprile ore 21
SILVIO ORLANDO
La vita davanti a sé
di Romain Gary
regia di Silvio Orlando

DANZA e MUSICAL

18 dicembre ore 21
COMPAGNIA ALMATANZ
Lo Schiaccianoci
coreografia di Luigi Martelletta
Balletto classico

7 febbraio ore 21
PeepArrow Entertainment presenta
MAMMA MIA! Il musical
regia originale di Massimo Romeo Piparo

2 marzo ore 21
SPELLBOUND CONTEMPORARY
BALLET
Vivaldiana
coreografie di Mauro Astolfi
Danza contemporanea

COMICO (4 spettacoli)

23 novembre ore 21
PAOLO CEVOLI
Andavo ai 100 all’ora
di Paolo Cevoli

14 dicembre ore 21
CARROZZERIA ORFEO
Supida Show!
Capitolo 1 – Cattivi pensieri
di Gabriele Di Luca
regia di Gabriele Di Luca e Massimiliano Setti

9 febbraio ore 21
TERESA MANNINO
Il giaguaro mi guarda storto
regia di Teresa Mannino

6 marzo ore 21
RIMBAMBAND
Manicomic
regia di Gioele Dix

FAMILY (Ingresso gratuito – in collaborazione con
il Centro per le Famiglie della Romagna Forlivese)

8 dicembre ore 11
IL PIÙ FURBO.
Disavventure di un incorreggibile lupo
Teatro Giocovita

6 gennaio ore 11
RE TUTTO CANCELLA
Accademia Perduta / Teatro Perdavvero

4 febbraio ore 11
IL LUNGO VIAGGIO DEL CONIGLIO EDOARDO
Accademia Perduta / Romagna Teatri

19 febbraio ore 11
NASO D’ARGENTO
Accademia Perduta / Progetto g.g.

10 thoughts on “Gabriele Lavia

  1. In fondo siamo tutti marionette

    Teatro Novelli di Rimini
    (9 gennaio 2011)

    IL MALATO IMMAGINARIO di Moli?re
    diretto e interpretato da GABRIELE LAVIA.

    Coproduzione del Teatro Stabile dell’Umbria e della Compagnia Lavia Anagni.

    Recensione di Giosetta Guerra

    Scenografia minimalista di Alessandro Camera: solo un letto bianco da ospedale sovrastato da una luce e una scrivania bianca con abat-jour nel vasto palcoscenico di un grigiore opprimente.
    La voce del protagonista rimbalza da un registratore, dove vengono fissate le terapie dei medici, ai soliloqui disperati di uomo malato, che lo ? veramente, in quanto schiavo del suo immaginario?malato. Una deambulazione insicura lo porta freneticamente dal letto alla scrivania in preda a paure incontrollabili e devastanti, il passo diventa pi? veloce quando, spinto dai dolori intestinali, corre per andare al bagno. Va dietro le quinte, accende una luce e il fondale si illumina per mostrare attraverso un velatino una salle de bain completa di sanitari, con le pareti a scacchi bianchi e marrone, dove l?uomo passa gran parte del suo tempo ad evacuare i veleni del suo immaginario, resi tangibili dai clisteri ordinati dai medici. Vi ricordate il film con Alberto Sordi?
    La scena si popola anche di altri personaggi che fanno parte dell?entourage dell?ipocondriaco Argante: la bellissima e giovane seconda moglie Belinda, opportunista e fedifraga, prodiga di falsi baci e di mielose moine, che gli d? un?illusoria felicit?, ma che lo ingozza di medicine e lo domina come faceva Lady Macbeth (forse interpretata dalla stessa attrice) col suo re nel Macbeth di Lavia, la bella e frizzante figlia Angelica segretamente innamorata di Cleante (entrambi con linguaggio e gestualit? attuali tra il rap e il punk), che il padre vorrebbe invece sposata ad un orrendo e stupido dottorino fresco di laurea, per poter avere consulti gratuiti, l?agitata ma assennata serva Antonietta, Beraldo il fratello di Argante, che cerca in ogni modo di convincere il fratello che la sua malattia ? solo una sua psicosi, alimentata a scopo di lucro dai medici e dai farmacisti e dalla sua stessa moglie; poi c?? la schiera di medici, notai, avvocati, tutti presentati come viscidi avvoltoi.
    Belinda ? interpretata splendidamente da una sexy e procace Giulia Galiani in gu?pi?re o in fronzolosi abiti succinti; nel ruolo di Angelica in tut? bianco debutta la figlia di Lavia, Lucia Lavia, una scintillante ragazza dai lunghi capelli biondi inanellati, gi? perfettamente padrona del palcoscenico, Cleante ? in bell?Andrea Macaluso, Antonietta (che si traveste anche da grande luminare della medicina russa per sviare Argante dai suoi oppressori) ? la brava e dinamica Barbara Begala e il saggio Beraldo ? un convincente Gianni De Lellis.
    Teatralmente ineccepibile anche il corpo medico, che mi ha riportato in mente la schiera dei medici di Pinocchio, formato da Mauro Mandolini (il Professor Purgone, medico di Argante), Pietro Biondi (l’impeccabile Dottor Diarreus padre, con una crestina rossa), Michele Demaria (l?orripilante e magniloquente Dottor Tommaso Diarreus figlio, pretendente di Angelica), Vittorio Vannutelli (il farmacista Dottor Fetus) e anche Giorgio Crisafi nel ruolo del mellifluo notaio Buonafede. Mostruosamente caricaturali e ripugnanti.
    La satira che notoriamente Moli?re riservava ai medici del tempo qui prende corpo in esseri grotteschi, vestiti di nero, con prominenti epe rotonde, spalle rialzate sul retro a mo? di gobba, lunghe ed esili gambe che terminano dentro ridicole scarpe col tacco, con gestualit? ampollosa e linguaggio infarcito di latinismi.
    Argante invece indossa una lunga vestaglia di velluto marrone sopra il pigiama ed una papalina nera, sia perch? deve sempre stare in casa visto che ? malato, sia per la comodit? di tirasi gi? i pantaloni per il clistere e per l?evacuazione (cose che Lavia fa veramente in scena).
    Non manca il canto in questo carosello di personaggi: Pulcinella canta dalla platea accompagnandosi con la chitarra, Cleante, nelle antiche vesti del finto supplente del maestro di musica di Angelica (ci viene in mente Il Barbiere di Siviglia di Rossini) e la stessa Angelica sono due rocchettari che cantano muovendosi a scatti.

    I costumi sono di Andrea Viotti.
    La verit? viene fuori alla fine, quando Argante, fingendosi morto su suggerimento del fratello e della cameriera (gli mettono accanto anche quattro candelieri come a Scarpia in Tosca di Puccini), scopre i veri sentimenti di coloro che lo circondano. Non ci ricorda Gianni Schicchi di Puccini? E allora crollano tutti i tab?, tutte le finzioni, crollano anche le quinte e lasciano scoperto un popolo di marionette ferme ed immobili come le statue.

    Una regia cos? incisiva, cos? dettagliata, una lettura cos? satiricamente amara non poteva che portare la firma del grande Gabriele Lavia, la cui arte travalica le menti comuni, di lui come di Shakespeare non si pu? perdere alcun passaggio.
    Anche come interprete di Argante ? talmente vero che non riesci pi? a distinguere dove finisce il personaggio e dove comincia l?uomo, l?osmosi ? cos? profonda che, quando Argante/Gabriele piange la sua permanente solitudine e dal palcoscenico, guardandosi intorno, chiede ?C?? nessuno che mi mette a letto??, io ho sentito due volte l?impulso di correre verso di lui e di rispondergli ?Ci sono iiioooooo?.
    Il ritmo della recitazione, l?aderenza dell?accento agli stati d?animo, la propriet? del gesto e della parola, la naturalezza d?espressione, la padronanza assoluta del palcoscenico, guidati da una minuziosa conoscenza del testo e della drammaturgia in genere (e chi pi? ne ha pi? ne metta) sono qualit? tipiche del grande attore; se ci aggiungiamo la sua abilit? come regista, dovremo presto nominarlo ufficialmente ?Re del palcoscenico?.
    Uno spettacolo da vedere e da rivedere.

  2. Thank you for the intelligent critique. Me and my neighbour were just preparing to do some research about this. I am very grateful to see such great information being shared freely out there.

  3. INCONTRO CON LA COMPAGNIA LAVIA

    Sabato 16 alle ore 18 la compagnia Lavia Anagni formata da una ventina di giovani della scuola di Gabriele Lavia a Lugo con ?Molto rumore per nulla? di William Shakespeare ? Produzione Teatro di Roma si ? confrontata con il pubblico nell?incontro organizzato dagli Amici del Teatro Rossini. Il figlio d?arte Lorenzo Lavia, affiancato da Gianni De Lellis, Salvatore Palombi e dal musicista-attore Andrea Nicolini, ha ricordato che la trama si svolge a Messina dove il ricco Leonato accoglie il principe d?Aragona don Pedro di ritorno dalla guerra insieme ai compagni. La giovent? favorisce lo scherzo, la schermaglia, gli innamoramenti, tutto in un tono leggero e giocoso se non fosse per l?accidia di Don Juan, fratellastro del nobile, che giunge ad ordire una trama per convincere Claudio dell?infedelt? di Ero che ? sul punto di sposare. La farsa volge repentinamente al dramma, ma le cose non sono come appaiono e svelato l?inghippo, si scopre anche il sentimento celato dietro i continui battibecchi di Benedetto (Lorenzo Lavia) e Beatrice e tutto si scioglie in una grande riconciliazione fra i contendenti e in un senso pi? universale di pace diffusa. I temi cari al grande bardo ci sono tutti: essere o non essere, ridere o piangere celati dietro una maschera, eterni miti dell?uomo rimescolati nella spontaneit? un po? irrazionale della giovent? il cui dinamismo si riverbera nel linguaggio e negli atti degli attori che si arrampicano dovunque come gatti. Qualcuno ha obiettato sulla scena farsesca della ronda che si muove in modo burattinesco e parla un misto fra italiano e messinese. Quella parte del testo, ha detto Lavia, ? scritta in inglese dialettale oggi incomprensibile anche agli ?indigeni?, per cui Chiara De Marchi ha scelto di tradurla in un ?messinese? buffo che interrompe il ?blog? narrativo senza stravolgere il senso dell?opera. Tradurre ? sempre un po? tradire, il che non significa contravvenire allo spirito con cui Shakespeare ha affrontato il tema cucendo la parte su un famoso attore comico dell?epoca. Tanto rumore per nulla, dunque, innovato ma non stravolto, dove i canoni del teatro classico inglese ci sono tutti: l?intreccio, il monologo e la comunicazione con il pubblico a cui tante volte gli attori sembrano rivolgere le domande e la risposta ? un applauso spontaneo. Tanti strumenti in scena, pianoforti, fisarmonica, violino, chitarra e la canzone ?Non piangete donne belle??cantata a gola spiegata da tutti gli interpreti nel finale del V? atto? creando un clima da musical o, meglio, da film in diretta. Bravo Andrea Nicolini, comandante della sgangherata guarnigione della ronda al servizio del potere di turno, che ha musicato i sonetti del grande bardo dando un?anima musicale allo spettacolo allestito con pochi elementi scenici (un lungo tavolo, sedie, tappeti, piante e le luci del light designer Pietro Sperduti), impreziosito dai bei costumi di Andrea Viotti che esprimono cromaticamente i caratteri dei personaggi (quello di Don Juan ? nero pece) e che gli attori mettono e tolgono come una maschera sopra il nero che rende tutti omogenei. Beatrice, femminista ante litteram che si arrende all?amore, non ? la Bisbetica domata e i fermenti giovanili non sono presi da Giulietta e Romeo ma si ripetono uguali nel tempo come testimoniano i costumi sospesi fra passato e presente. La modernit? espressiva non ha cambiato i contenuti, ha reso anzi alla compagnia consensi di pubblico oltre che critica. E? forse un reato contro la cultura riempire i teatri come fa questa giovane compagnia riponendo un testo che ? rimasto valido e attuale nei secoli? Personalmente lo trovo encomiabile e assolutamente da ripetere, per salvaguardare e diffondere la cultura e contrastare gli attacchi pi? o meno subdoli di quella televisiva. Lavia infine ha lodato il Teatro Rossini per la cornice che abbraccia il palcoscenico, la bella acustica e la straordinaria partecipazione di pubblico, per i tanti studenti presenti alle recite e alla pomeridiana, facendo intendere che il teatro ? l?essenza della comunicazione, ? un?interazione che si crea fra chi recita e chi recepisce che sfocia nell?applauso finale, ma si manifesta anche durante lo svolgimento di uno spettacolo giovane, energetico e corroborante, tutto da gustare.

    Attilia Tartagni 17.01.2010

  4. PUBBLICATO SU TEATRIONLINE

    Memorie dal sottosuolo di Dostoevskji al Teatro La Fenice di Senigallia

    Scritto nel 1865, Memorie dal sottosuolo segna una svolta della narrativa nella letteratura europea dell?ottocento, in quanto incentrato sulla soggettivit? dei protagonisti e il sottosuolo non ? che una metafora dell’inconscio, del “profondo”. L?argomento dello spettacolo ? quello dell?ultimo episodio delle Memorie dal sottosuolo, ovvero l?appuntamento di un giovane impiegato con una giovanissima prostituta, che viene fatta oggetto di scherno e di umiliazioni da parte dell?uomo a sua volta umiliato e torturato da una vita matrigna, fatta di solitudine e di rinunce: una sorta di macabro riscatto, che in realt? non solo non lo soddisfa, ma lo conduce all?angosciosa ammissione del suo fallimento e fa nascere in lui maggiori sensi di colpa, che a loro volta lo portano a nuove rinunce e a sprofondare in una solitudine incolmabile: un circolo vizioso senza via d?uscita.
    E nell?ultima scena sono riportate le confessioni che occupano la prima parte nel racconto di Dostoevskij e che scoprono gli angoli pi? reconditi e negativi del ?sottosuolo? del protagonista, un uomo malato, un uomo cattivo, un uomo che non ha nulla di attraente, ripugnante in sommo grado, come si definisce lui stesso in apertura di spettacolo.
    Gabriele Lavia va a nozze con questi temi esistenziali esasperati ai limiti della follia, con questi personaggi problematici, contorti, autolesionisti, fatalisti, esclusi dal mondo che essi stessi rifiutano, incuneati in una spirale senza fine che non rifuggono ma nella quale vorrebbero trascinare altri per godere delle ferite che ne derivano, lacerati da una condizione umana infernale che li porta ad odiare perch? incapaci di amare, guidati da una folle esaltazione che come un?idrovora distrugge se stessi e chiunque si avvicini. Dall?immaginario dell?uomo emerge infatti una fantasia distruttrice e vendicativa che fa della creatura che gli sta davanti il capro espiatorio delle proprie umiliazioni: diventa l?oggetto su cui scagliarsi con tale crudelt? da ferirla profondamente e macchiarsi di una colpa insanabile. ?Mi avevano umiliato per tutta la vita e anch?io ho voluto umiliare?, questa ? la giustificazione. La folle dissacrazione della vita si riversa anche sul suo vecchio servitore Apollos, piegato nel fisico e nella mente da un?esistenza triste e sottomessa. Ma il protagonista, pur nelle sua abiezione, non ? privo di fantasie sentimentali su quella giovane donna che riesce a metterlo a disagio, ma non riesce a sciogliere il groviglio di vipere che lo divora.
    Una deambulazione agitata e insicura accompagna il suo parlare nevrotico con se stesso, con la giovane donna e con il pubblico contro i quali spesso inveisce, si siede, si sdraia, si rialza, cammina, si ferma, non si capisce se sia folle o ubriaco. L?incontro fra l?uomo e questa prostituta fallisce in partenza per il muro di disprezzo che egli erge tra di loro.
    La conversazione ? un susseguirsi di domande ripetitive e risposte secche, lui ? ironico, spietato, dissacrante, l?argomento della conversazione ? macabro e lei ne ? sconvolta (ma questo era il suo obiettivo). Invece di fare sesso lui le presagisce un futuro tragico derivato dal suo mestiere di prostituta e nel parlare beve e beve. Sarcastico sull?amore e sul matrimonio si domanda dove stia scritto che l?amore d? la felicit? e nel contempo afferma che solo se si ama vale la pena di vivere, insomma un insieme di contraddizioni senza soluzione.
    Segue una disquisizione irrazionale sulla ragione dell?uomo, bipede mostruoso, con un?accentuata variet? di toni e di colori nella voce e nella recitazione, come solo Lavia sa fare. Lunghi silenzi molto eloquenti sostenuti da rapide toccate al pianoforte e da fredde arcate di violino diffondono un pessimismo dilagante. Gabriele Lavia mette a nudo il cuore di un uomo carico di indicibile sofferenza, esprime tutti i contrasti di un essere profondamente arrabbiato, lei ? dolcissima e manifesta i sentimenti di una creatura oppressa. Un bacio tra i due sembra sciogliere le tensioni, ma la rabbia di lui ha il sopravvento e la violenza della sua tirannia gli impedisce di cambiare. Ma di chi sto parlando? Di Lavia o del giovane impiegato inconcludente? Boh! Lavia ? talmente convincente che ? impossibile discernere la realt? dalla finzione. Profondo conoscitore del teatro russo, artista polivalente e dal multiforme ingegno, inchioda lo spettatore in un?attenzione quasi priva di respiro. Un?interpretazione magistrale. Appropriata anche la scelta degli altri due personaggi, Pietro Biondi nel ruolo del vecchio servitore e Euridice Axen nelle succinte vesti della prostituta, la cui arte scenica ? stata affiancata da una pregevole capacit? interpretativa.
    Rielaborato e anche diretto da Gabriele Lavia, regista che ama scavare nelle umane passioni e nei tormenti dell?anima, mostrando il comico e il grottesco insieme, lo spettacolo si avvale delle belle scene di Carmelo Giammello, degli appropriati costumi di Andrea Viotti, della complicit? delle musiche di Andrea Nicolini e delle luci di Giovanna Santolamazza.
    Il sipario, che in posizione inerte lascia trapelare la fioca luce di alcune candele accese, si apre su una scena multiuso: sul fondale un pendio innevato, lungo il quale il protagonista si rotola per il suo primo ingresso in scena e su cui a volte si porta per respirare aria nuova, uno strato di neve sul boccascena sul quale l?attore si posiziona per relazionarsi col pubblico, due ambienti distinti al centro, a destra una colorata ed invitante camera di un bordello con grandi specchi e cornici dorate, a sinistra la grigia e polverosa sala della casa dell?uomo, un tugurio con i soliti arredi che da qualche anno si trovano negli spettacoli di Lavia (un divano sdrucito, fatiscenti librerie cariche di tomi polverosi, uno specchio malandato, una credenza vecchia, un tavolo, due sedie). Le luci si irradiano sull?ambiente richiesto, tenendo l?altro nell?ombra. Troppo lunga la morale rivolta al pubblico a fine spettacolo.

    Teatro La Fenice (Senigallia), in scena il 9 dicembre

    16/01/2007, GIOSETTA GUERRA

  5. Premio lirico internazionale Mario Tiberini
    12 ottobre 2008 – XVII edizione.
    SAN LORENZO IN CAMPO (PU)

    Premio Tiberini d’oro
    al regista e attore Gabriele Lavia
    artista poliedrico e raffinato, sensibile e rigoroso, che affianca al magistrale uso della parola e del palcoscenico l?abilit? a stilizzare in chiave registica, scenografica e drammaturgica i pregi sovrani dell?arte e il lirismo dei grandi archetipi affettivi e narrativi.

    In palcoscenico Gabriele Lavia a ruota libera, stimolato dalle domande di Giosetta Guerra, ha letteralmente inchiodato l?attenzione di tutti, divertendoci – nota bene – con verit? assolute su vari settori dello scibile umano: una spettacolare lezione di teatro e di cultura a vasto raggio.

  6. Approfondimenti.La finestra sui personaggi.

    Lavia docet
    di Giosetta Guerra

    PARMA – Le qualit? basilari di un buon regista sono: fantasia, creativit?, esperienza, competenza, ma soprattutto conoscenza approfondita dei testi, rispetto degli autori e pratica del palcoscenico. Illusione? Per molti s?, ma non per Gabriele Lavia. Dopo il nastro d?argento ricevuto nel 1984 come miglior regista esordiente, Lavia non si ? buttato a capofitto sull?”inventar regie”, ma ha approfondito l?analisi e la frequentazione di quel teatro classico dal quale deriva gran parte dell?opera lirica.
    Specializzato in testi dalla conflittualit? marcata, Lavia non ? un “generico”, ma un profondo conoscitore di personaggi classici, per lo pi? drammatici, non si affida soltanto al fascino della sua voce, alla sue capacit? teatrali e alla genialit? delle sue intuizioni per leggere o recitare o mettere in scena un?opera sia di prosa che lirica, ma la studia in profondit?, ne analizza la parola e l?evoluzione del linguaggio, cui ? legato il rapporto causa effetto dell?azione (tecnica assolutamente necessaria in un teatro della parola come ? quello di Shakespeare). Particolarmente attratto dalla grande drammaturgia classica, affascinato da testi difficili e di grande impatto, Lavia dimostra come nei classici si trovi il fondamento della modernit?, perch? il teatro, al dire di William Shakespeare, ? lo specchio della societ? e ha il compito di mettere il pubblico di fronte ai suoi vizi.
    La lettura che Gabriele Lavia ha fatto di Otello di Shakespeare nel ridotto del Teatro Regio di Parma il 27 ottobre 2008, nell?ambito del Festival Verdi, ? stata una lezione di altissimo livello, come non se ne ascoltano mai neanche nei migliori atenei: un?autentica radiografia. Pi? che una lettura, la sua ? stata uno scavo nell?interiore per capire l?esteriore, una ricerca nel profondo da cui scaturisce l?azione e un?analisi della situazione che modifica il profondo (Jago fomenta la gelosia di Otello per soffocare le sue insicurezze verso la propria moglie determinate dalla sua impotenza e Otello plagiato da Jago finisce col parlare come lui, per litoti, ossia con la negazione del contrario). Con un copione in mano, un leggio, una sedia ed un paio d?occhiali che mette e leva nervosamente, lui, solo, ha espresso la fragilit? di Otello e l?illusoria potenza di Jago, entrambi discriminati, entrambi travolti da una tragedia della mente in preda a fantasmi e ad un?irrazionalit? che condurr? tutti al caos. Entrambi protagonisti perch? complementari nella loro diversit?, sono dilaniati dal dubbio fino a perdere la loro identit? (“I?m not what I am”). La lettura, differenziata nelle voci e nelle espressioni del viso, ? stata intercalata da riferimenti storici, spiegazioni etimologiche e semantiche delle parole, battute sciolte, che hanno messo in luce la versatilit? d?eloquio e la vastissima cultura dell?attore, cultura dalla quale non pu? che scaturire un bravo regista.
    A proposito di Otello, Lavia ne aveva curato la regia gi? nel 1995 a Novara, dove il Moro e il Bianco erano interpretati da Bracciaroli e Orsini e nel corso della sua carriera ha allineato una bella schiera di personaggi, in prevalenza del teatro shakespeariano e del teatro russo, che ha portato in palcoscenico sia come attore che come regista. Fare la regia di opere verdiane tratte dal teatro di Shakespeare, dunque, ? molto facile per chi ha amato, odiato, respirato, vissuto in simbiosi con i protagonisti dell?opera e Gabriele Lavia ha vissuto in prima persona in palcoscenico la vita di questi personaggi. In pi? le letture registiche e teatrali di questo artista inquieto, sempre attento alle patologie dell’uomo contemporaneo, hanno il pregio di realizzare anche scenicamente quella modernit? che c?? nel teatro shakespeariano.
    Lavia l?ha impressa anche alla regia di Giovanna d?Arco allestita al Teatro Regio di Parma per il Festival Verdi 2008, portando la vicenda all?epoca risorgimentale e dipingendo a forti tinte sia il carattere visionario di Giovanna, sia quello perverso del padre. Dopo un ascolto come quello che abbiamo avuto a Parma, non si pu? non uscire cambiati (ecco una litote) e solo Dio sa quanto la scuola avrebbe bisogno di lezioni come questa! Non sarebbe male se i ministri della Pubblica Istruzione frequentassero i teatri: avrebbero qualche stimolo per basare le riforme sulla qualit? e non sulla quantit?, sull?essere e non sull?apparire; la formazione dell?individuo non prende regole dalle ideologie politiche ma dalla vita stessa, perci? chiunque voglia fare il ministro deve avere sensibilit?, concretezza, cultura a 360? e competenze specifiche. Nel versante scuola questa combinazione vincente non si ? mai verificata con nessun governo, perch? i ministri che si sono succeduti, pi? o meno colorati, non avevano esperienza pratica nel settore.

  7. Pubblicato su Teatrionline

    L’avaro di Moli?re: il ritmo del gesto e della parola.

    Il Teatro alle Muse di Ancona sta lavorando alla grande sia sul versante del teatro della parola sia sul versante del teatro musicale: titoli noti con grandi nomi e produzioni importanti e collaudate. Punta di diamante della stagione di prosa ? stato L?Avaro di Moli?re, un classico della commedia di costume e di carattere, messo in scena dalla compagnia di Gabriele Lavia.
    Arpagone, il pi? astratto dei personaggi di Moli?re, l?avaro di se stesso, che non gode della sua ricchezza ma del possesso della medesima, si ? avvalso della magistrale interpretazione di un dio del palcoscenico, il grande e poliedrico Gabriele Lavia, impegnato nella duplice veste di attore e di regista. (Lavia ? anche abile regista di opere liriche). La sua recitazione scandita, asciutta, distaccata, quasi un dialogo con se stesso, traduce l?immensa solitudine del personaggio, che non fa nulla per superarla: forte del potere delle sue ricchezze, non si cura del suo aspetto perch? non ha bisogno di comparire, agogna come tutti gli esseri umani ad avere un ruolo nel mondo degli affetti, ma non ? in questo aiutato dal suo discernimento se non si preoccupa di superare la sua natura e in pi? si pone come rivale di suo figlio in amore.
    Dominante e dominato per e dal suo denaro, padrone dell?illusione ma schiavo della realt?, l?avaro ? ridicolo ma non odioso, perch? il suo vizio ? la sua stessa natura, vive tra montagne di cose accatastate (come avevamo visto in Zio Vania), in cima alle quali si mantiene in bilico un letto sbilenco, cuccia e rifugio del vecchio Arpagone, bastonato dalla vita come un cane.
    La satira di Moli?re ? sempre permeata di umanit?, Moli?re fa ridere ma non ? gioioso e i suoi personaggi non sono comici, bens? ridicoli, quasi patetici, perch? preda e vittime dei loro stessi vizi; meno la realt? ? comica pi? Moli?re la tratta da farsa, il trionfo del suo genio comico ? di aver scelto la gaiezza latente; bisogna riconoscergli inoltre la finezza con cui egli riesca a far prevalere l?impressione comica, anche se da un?analisi attenta emerge che attraverso il riso si arriva ad una morale.
    Ebbene la lettura di Gabriele Lavia si basa su tali principi e tutta la compagnia ? stata istruita a comunicare il climax di ogni tipologia umana e di ogni situazione.
    Moli?re fa parlare i personaggi in base alle loro condizioni e la recitazione di tutti questi bravi attori ha seguito l?energia e l?efficacia di un linguaggio pi? popolare che prezioso, pi? colorato che puro, e lontano dalle regole del buon uso, come l?autore stesso desiderava. E? stato rispettato il ritmo della conversazione, qui accompagnato a fini comici da gags appropriate, dall?esasperazione della gestualit? e dell?abbigliamento che va dal classico al dark su idea di Andrea Viotti.
    Recitano accanto a Gabriele Lavia il figlio Lorenzo, biondissima figura amletica nel ruolo di Cleante figlio di Arpagone, Andy Luotto perfetto Mastro Giacomo?ridicule?, Luca Fagioli uno strabiliante commissario tutto nervi e scatti con improvvisi ritorni alla ?calma?, Emanuela Guaiana un?eterea o una frizzante Marianna secondo che indossi un tut? o una minigonna, contesa in amore da padre e figlio, un azzimato Francesco Bonomo nelle vesti di Valerio, una provocante Manuela Maletta nei succinti costumi di Elisa, una prorompente e provocatoria Clotilde Sabatino nella figura androgina di Frosina, e poi ancora Marco Cavicchioli, Vittorio Vannutelli, Faustino Vargas, Giancarlo Cond?, Patrizia Crea, tutti elementi indispensabili e ben inseriti in un ingranaggio di comicit? intelligente e in un ritmo serrato di movimento e di parola all?interno di un allestimento originale ed allusivo, creato da Carmelo Giammelloper uno spettacolo davvero eccezionale.
    29/03/2004, Giosetta Guerra

  8. ROMA ? Voce stanca e profonda. Da attore provato ma non consumato. Il Corriere di Roma ? riuscito nell?impresa che poche testate hanno colto: un?intervista dal vivo col Maestro Gabriele Lavia. Dopo innumeri rinvii dovuti a prove e riunioni, raggiungo il Maestro al telefono. Doppio, forse triplo squillo: le nove e mezza di mattina di gioved? 12 novembre. Il contatto con The Voice ? stabilito. La conversazione ha inizio.

    Salve, Maestro. Molto rumore per nulla e Danza di morte sono i due spettacoli in cartellone all?Argentina, con la sua regia. Ci spiega le ragioni artistiche per la loro proposizione?

    Per cercare le vere ragioni occorre scavare nel profondo. Diciamo che ? stata un?occasione d?oro per far conoscere al vasto pubblico i ragazzi della mia Compagnia, vera officina di talenti. ?Molto rumore per nulla? ha avuto un successo strepitoso alla sua prima nazionale, andata in scena all?Arena di Verona. Per quanto riguarda Danza di Morte, posso dirle che ? la traduzione impossibile del capolavoro di August Strindberg Dodsdansen. La lingua italiana non pu? tradurre questa parola. ? vero che Dodsdansen significa pi? o meno Danza di morte ma ci vogliono tre parole per una sola. Dodsdansen ? un solo pensiero che unifica e identifica Morte e Danza. Danza e Morte sono due specchi che ti guardano moltiplicando tutte le immagini riflesse all?infinito in una specie di ?abisso? in cui ci si trova ?spaesati? o, freudianamente, ?perturbati?. La Danza, espressione di vita, la Morte: una sola cosa. Danza di morte sono tre parole ben distinte che esprimono e separano tre pensieri. MORTE come ?specificazione della danza?. In altre parole: una danza che porta alla morte, una danza mortale e non la MORTEDANZA o DANZAMORTE. Un?opera scritta come l?eruzione di un?anima gonfia di dolore. Di getto. Strindberg ? un autore poco frequentato sulle scene italiane. Eppure la drammaturgia moderna gli deve tutto. Un tempo solo. L?azione semplificata, serrata, classica. Protagonista, antagonista. Questa ? la mia quinta regia di un?opera di Strindberg. Ma se ci metto due regie di opere di Ingmar Bergman potrei dire che questa ? la mia settima regia poich? il grande regista svedese deve tutto al grande poeta svedese. Era un Realista? Un Naturalista? Un Simbolista? Un Espressionista ante litteram? Strindberg ? tutto questo e ancor di pi?. ? Strindberghiano. Collocarlo criticamente ? limitarne la sua speciale modernit? che lo rende moderno tra i moderni. Dodsdansen ? qualcosa di ?a s? stante?, di unico. Nessun altro prima di lui e dopo di lui ha avuto il genio di concepirla. Innamorato dei filosofi Pre -Socratici per cui ?il padre di tutto ? Polemos?, la Guerra. Appassionato dei Pitagorici coi loro ?Dieci principi dei contrari? (uno-molteplice, limite-illimite, luce-tenebra, buono-cattivo, destro-sinistro, fermo-mosso, retto-curvo, quadrato-rettangolo, luminoso-buio, maschio-femmina) ne mette in scena il Polemos, la guerra che non ha vincitori n? vinti. Come ?principio? maledetto dell?Essere nel Mondo.

    La rappresentazione perfetta, per lei, che caratteristiche deve avere? Ed esiste?

    Gran bella domanda che mi pone? Non so neanche che cosa risponderle. Credo per? che ogni rappresentazione sia l?unica possibile. E tengano i lettori presente che l?aggettivo italiano ?perfetta? deriva dal participio passato del verbo latino ?perf?cere?, che vuol dire ?compiere?. Dunque, ogni rappresentazione compiuta ? gi? perfetta di suo.

    Ci indichi l?attore-promessa, il migliore germoglio del teatro contemporaneo italiano.

    Non conosco tutti gli attori, perci? non voglio fare torti a nessuno. Ma se debbo indicarne uno, perch? non puntare su Massimo Popolizio? [nelle vesti di Cyrano ha appena aperto la stagione teatrale dell?Argentina; N.d.r.]

    L?altro titolo in cartellone, non diretto da lei, che si sentirebbe di consigliare agli spettatori papabili venturi del Teatro Argentina.

    No, per piacere, io sono e rimango un bell?individualista [e scoppia in una fragorosa risata; N.d.r.]. Dico sempre e comunque il mio ?Molto rumore per nulla?, che diamine.

    La migliore stagione dell?Argentina, a sua memoria storica.

    Non saprei dirle; io all?Argentina recito e basta. Invece, le dico: avendo curato lungo tutto il decennio Ottanta la direzione artistica dell?Eliseo, ecco? Se non sbaglio era il 1986, il nostro anno dorato: quell?anno mi riusc? di mettere in scena i ?Masnadieri?, il ?Don Carlos? e l??Hamburg?.

    Ha in cantiere progetti cinematografici?

    Il 3 maggio uscir? ?Il tailleur grigio?, da un romanzo storico di Andrea Camilleri.

    La Voce stanca e preparata mi saluta: ? l?ora dell?ennesima prova. Concittadini, annotatevi queste date: Molto rumore per nulla, dall?1 al 13 dicembre, e Danza di morte, dall?8 al 30 aprile (sostituisce Scrittura femminile azzurro pallido che per ragioni tecniche non potr? andare in scena in questa stagione), entrambi di scena al Teatro Argentina.

    Federico Ligotti

  9. Incursione nella prosa per capire come si allestisce Macbeth.

    Gabriele Lavia continua a fare scuola.
    di Giosetta Guerra

    RAVENNA / RIMINI ? Teatro Alighieri di Ravenna (13-16 gennaio 2009) e Teatro Novelli di Rimini (15-17 febbraio 2009.

    Atmosfera incombente, assenza di colore, palcoscenico vuoto al centro per essere via via occupato da oggetti necessari a definire gli ambienti (uno specchio che serve anche per l?apparizione degli assassinati, un catafalco coperto di rosso con il corpo di Duncan, un muro bombardato, le tombe di un cimitero, un tavola imbandita con ospiti tipo “ultima cena” al cui centro non siede il sovrano ma l?ombra di Banquo che solo Macbeth vede, un trono rudimentale per i due sovrani in preda alla follia del potere, un?alcova per la coppia reale naturalmente insonne). Ai lati: sulla sinistra del proscenio un camerino con specchio, lavandino, attaccapanni, sedie, per i nervosi cambi d?abito dei due protagonisti e per il lavaggio maniacale delle mani lorde di sangue, sulla destra una scala, casse, bauli di trovarobato e sartoria dove il re si nasconde. Il palcoscenico ? ricoperto di terra, come a Macerata per l?opera di Tutino The servant, un sipario arretrato a scorrimento verticale e tele trasparenti mobili mostrano o nascondono i piani d?azione, a met? spettacolo le tele laterali e del fondale cadono. I protagonisti si muovono sul proscenio, la storia si svolge sul fondo del palcoscenico. Tre streghe barbute si aggirano tra la nebbia, predicono un futuro regale a Macbeth, lo circuiscono e lo tentano sul suo stesso letto e lui le bacia una ad una sulla bocca.
    “Che schifo”, penserete. E no, signori miei, Lavia ? forse l?unico regista che coglie il vero significato di questi personaggi cos? importanti nell?opera in questione: le streghe rappresentano la tentazione in senso lato (sia del potere, sia del sesso, sia delle fantasie pi? sfrenate) e che tentazione sarebbero se fossero esseri orripilanti? Lavia infatti ha optato per tre bellissime ragazze (Giorgia Sinicorni, Chiara Degani, Giulia Galiani), giovani, alte, ben fatte e? nude, solo un mantello sventolante e la semioscurit? delle scene velavano l?impatto visivo. Queste poi diventano anche cameriere, sicari per l?uccisione di Banquo e anche vecchie. Nell’incertezza dell’Essere, divorato dall’angoscia di non essere mai nel posto che gli spetta (questa la lettura di Lavia), Macbeth gioca il ruolo del Potere e del suo stesso annullamento, si veste e si sveste freneticamente continuando a parlare in modo concitato, si trucca, con la cipria “la faccia infarina”, pi? giullare che re si mette le scarpe coi rialzi e sfoggia vuoti sorrisi da marionetta o risate isteriche, si muove in modo affannoso ed insicuro e non si ferma mai, non trova proprio pace. Fingendosi la coppia reale, lui e la Lady indossano goffi pastrani di pelle con enormi spalloni, si incoronano con ridicole corone di carta, si abbracciano e si baciano sul trono e sul letto nel delirio del potere, ma anche nel terrore dei misfatti, lei si mostra pi? sicura e crudelmente determinata, ma la follia, che comincia a manifestarsi con l?ossessione delle macchie indelebili di sangue sulle mani, la conduce per prima all?epilogo. Un corpo penzolante ad un cappio compare su uno squarcio del fondale e d? il colpo di grazia alla stabilit? ormai precaria del re, che alla fine muore con un colpo di pistola. Ecco come Gabriele Lavia ha allestito il Macbeth, non quello di Verdi, ma quello di Shakespeare, cio? l?opera teatrale tradotta in italiano da Alessandro Serpieri e portata in tourn?e italiana dalla Compagnia Lavia/Anagni. Scene forti, vissute in modo pregnante dai bravissimi attori della Compagnia, sui quali spicca l?intensit? della recitazione e la frenesia gestuale di Gabriele Lavia nel title role e di una giovane attrice uscita dalla Scuola del Piccolo di Milano Giovanna Di Rauso nelle vesti non sempre coprenti di una sanguinaria Lady Macbeth, bionda sparata e convulsamente felina, affiancati da Maurizio Lombardi (Duncan e 1? apparizione), Biagio Forestieri (Macduff), Patrizio Cigliano (Malcom), Mario Pietramala (Banquo), Alessandro Parise, Michele Demaria, Daniel Dwerryhouse, Fabrizio Vona, Andrea Macaluso, Mauro Celaia e le tre streghe sopra menzionate. Le scene portano la firma di Alessandro Camera, i costumi (belli e differenziati quelli femminili, di foggia militare per gli uomini) quella di Andrea Viotti, le luci sono di Pietro Sperduti e la colonna sonora che sottolinea la desolazione di Giordano Corpi. Su tutto e su tutti, sovrana, la regia di Gabriele Lavia, che denota una conoscenza profonda dell?opera shakespeariana e delle tecniche teatrali. Una grande lezione di teatro. Io ho visto lo spettacolo al Teatro Alighieri di Ravenna e al Teatro Novelli di Rimini e ne sono rimasta folgorata.
    Pur non essendo uno spettacolo di lirica ne parliamo su questo giornale, perch? abbiamo visto l?allestimento ideale per l?opera composta da Verdi: un Macbeth visionario, allucinato, macabro, angoscioso, sensuale, cruento, ma anche estremamente credibile come Shakespeare e Verdi lo volevano. Lavia dovrebbe usarlo pari pari per l?opera verdiana e tutti i melomani dovrebbero assistere a questo spettacolo di prosa che Lavia sta continuando a portare nei teatri italiani.

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